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Il Teatro è quel luogo dove giocavo da bambina. Il posto dove a volte mi portava mia madre quando andava a fare quel suo speciale lavoro, l’artista lirica, di cui sono sempre stata molto orgogliosa. È stato cantante lirico anche mio padre, finché è vissuto.
Ci sono teatri, a Roma, che non hanno alcun segreto per me. Credo di aver seguito le opere liriche da ogni punto di vista e angolazione possibile: platea, palco d’onore, galleria, barcaccia, piccionaia, cabina luci, dietro le quinte, perfino dalla balaustra del graticcio; con molta accortezza, certo. Ma la postazione che ricordo con più affetto è stata quella nella buca del suggeritore, insieme al suggeritore stesso. Si trattava di La bohème di Giacomo Puccini. Era bastato promettere di stare composta e in silenzio, ed eccomi lì, a vedere l’opera quasi in mezzo ai cantanti stessi, e ad osservare anche il lavoro del maestro suggeritore. La commistione tra realtà e finzione raggiunse per me il suo apice quando su Rodolfo e Mimì iniziò a cadere la neve: artificio tangibile, emozione della musica e del canto, verità del mio essere lì, magia del teatro.
Proprio lì, dove giocavo da bambina, ho incontrato altri figli di artisti lirici che desideravano formare una compagnia di prosa; e fare teatro è diventato un gioco più serio. Sapevo già che andare in scena è un’attività che richiede impegno, preparazione, fatica fisica, prove su prove. Tante ore di esercizio, e respirazione, vocalizzi, agilità, come fanno tutti i cantanti lirici; poi mangiare sano, bere poco gli alcoolici, non “sporcare” la gola; anzi, tenerla sempre ben protetta da sciarpe, senza dimenticare di proteggere le orecchie.
Sperimentazione, ricerca, sono etichette che hanno marcato un teatro lontanissimo da quello “classico”. Ma a me, che avevo avuto per anni sotto gli occhi l’allenamento quotidiano di mia madre e di tanti altri cantanti, è sembrato naturale praticare la via del training fisico e vocale. Certo, ho ampliato la visione dello spazio teatrale, dei luoghi possibili, dei teatri possibili. E, pur facendovi all’occorrenza ritorno, sono uscita dall’edificio tradizionale della mia infanzia. Ma non dalla magia del teatro.
Il cambiamento è la nostra funzione, ecco perché non si può volercene se talvolta noi non pensiamo come i più vecchi di noi, ecco anche perché non dobbiamo adombrarci quando i più giovani di noi non pensano già più come noi.
Nel teatro: non cessare di trovarsi “in cammino”.
Jean-Louis Barrault, settembre 1949
a teatro
La mia vita nel teatro…